Nella grande città di New York ci sono moltissimi modi per trovare un po’ di spirito italiano, a partire dalla celebre Mulberry Street, cuore di Little Italy, tra ristoranti, negozi, turisti ed emigrati.
Tra questi grotteschi personaggi fluttuanti si trovano lo scoiattolo suicida “Bidibibodibiboo” (1996), una tetra ma semplice riflessione sulla morte, e l’assenza del lieto fine, e una miriade di piccioni. Essi derivano dall’installazione “Tourists - Others” in cui, nel sopralluogo prima della 54sima Biennale di Venezia, l’artista restò così turbato dalle condizioni in cui versava il padiglione italiano da volerlo lasciare così com’era, sottolineandone il degrado con la presenza di questi piccioni imbalsamati e i loro escrementi.
Ma chi si fosse trovato a New York nel Novembre del 2011, avrebbe potuto approfittare di un evento piuttosto singolare per respirare una ventata di cultura italiana. In quei giorni, infatti, è stata inaugurata presso il celebre Guggenheim, la prima, grande retrospettiva dell’artista che più di tutti domina oggi il panorama artistico italiano. Maurizio Cattelan. Tra il 4 Novembre 2011 e il 22 Gennaio 2012 era facile sentire nel meraviglioso museo di Wright, voci di italiani richiamate dall’evento, ma anche quelle di critici, di giornalisti di tutto il mondo, e di molti curiosi.
“All”, questo il nome della spettacolare mostra che effettivamente ha visto protagoniste tutte le opere del Maurizio nazionale. Residente proprio a New York, dal 1989 è stato testimone e narratore delle vicende italiane, con occhio critico e una buona dose di sarcasmo, e proprio nel celebre museo della 5th avenue della sua città d’adozione si consacra artista di fama internazionale.
Chi entra all’interno del museo (dopo una fila chilometrica, diciamolo pure) rimane colpito dall’imponenza della struttura espositiva e dal suo carattere metaforico. Se infatti è consuetudine delle esposizioni al Guggenheim proporre una fruizione tradizionale, per il corridoio ascendente che sale a spirale fino al soffitto, il punto di vista offerto da questa mostra è del tutto diverso.
Dall’alto del soffitto, le opere di Cattelan fluttuano nello spazio, legate a dei lenzuoli bianchi, funi e cavi. Ci sono personaggi celebri, fantocci con le fattezze dell’artista stesso, animali impagliati, fantocci di bambini, immagini grottesche, fotografie di performances e riproduzioni. Sembra quasi di assistere all’impiccagione degli ultimi venti, trenta anni di storia italiana, e forse l’intento dell’artista, alla luce dei grossi cambiamenti sul piano politico italiano di quel periodo, era proprio quello. L’irriverenza e il carattere provocatorio della sua produzione costituiscono il filo conduttore della struttura, apparentemente caotica. I fruitori si ritrovano a volteggiare attorno all’installazione, a sporgersi, a farsi spazio con lo sguardo in quel groviglio di figure ed immagini, come se si trattasse di un mondo misterioso da scoprire. Inutile sottolineare che la luce proveniente dall’unica circolare finestra sul soffitto sembrasse conferire al tutto un’aura di ironica sacralità.
Ci sono tutti: il Papa, Hitler, Aldo Moro, Picasso, Pinocchio..
Grande peso nell’installazione ha l’opera “L.O.V.E.” (2010). Si tratta di una piccola riproduzione dell’enorme mano posizionata in Piazza Affari a Milano, che stenta un saluto fascista a dita mozzate, a sbeffeggiare il passato dittatoriale italiano (la sede della Borsa di Milano infatti si trova all’interno di un palazzo realizzato in perfetto stile fascista) e l’economia mondiale.
Ecco poi far capolino in quel turbine di immagini e fantocci, la grande scultura “La nona ora” (1999) che suscitò scalpore e scandalo nella nostra cattolicissima Italia. Un meteorite cade in tutto il suo impeto su Papa Giovanni Paolo II, travolgendo la Chiesa, il Vaticano e i suoi fedeli. Cattelan ha sempre smentito il carattere provocatorio della sua opera, dicendo che “E’ un modo per ricordarci che il potere, qualunque potere, ha una scadenza, un po’ come il latte”. E’ però anche vero che un tratto mistico-religioso è sempre presente nella sua produzione. Per esempio, l‘opera “Daddy, daddy”, unica esposta a tempo indeterminato presso il Guggenheim, vede un Pinocchio galleggiante in una piscina, come se fosse vittima di un qualche tentativo di suicidio o di un incidente, che si rivolge a Geppetto con la stessa espressione in cui Cristo si rivolge a Dio, nel Vangelo, invocandolo. Ma tra le opere esposte si trova anche “Ave Mary” in cui tre braccia si levano in un saluto romano, fuoriuscendo da una parete bianca. A sorprendere però è che a vestire queste braccia non sono delle divise militari ma degli abiti da uomo d’affari. Sembra che agli occhi dell’artista l’economia, il mondo del business e la finanza siano schiavi di una unica dittatura.
"La Nona Ora" 1999 |
"L.O.V.E." 2010. |
Ancora, legati al tema della morte, “Love lasts forever” (1997), una rivisitazione in chiave cinico-fatalista della fiaba dei “Suonatori di Brema”, in cui il gatto, il galletto e l’asino si ritrovano si, a stare l’uno sopra l’altro creando così la silhouette di un mostro, ma si tratta soltanto dei loro scheletri.
C’è anche Hitler, nell’opera “HIM” (2001), presentata ed installata nel ghetto di Varsavia. Hitler è in ginocchio, prega e ha le lacrime agli occhi. Il suo abbigliamento ricorda quello in uso tra gli scolari degli anni’20. Si tratta di una destabilizzante riflessione sul perdono cristiano, e sul pentimento. Sembra che Cattelan stesso si chieda: ”Può un feroce dittatore, incarnazione del male, ricevere il perdono divino dopo uno scenografico e lacrimoso pentimento?”.
"HIM" 2001. |
Ed ancora “Novecento” (1997), un cavallo imbalsamato con le gambe inverosimilmente allungate e il muso teso verso il basso. Come suggerisce il titolo, ispirato al film omonimo di Bertolucci, il cavallo appeso, triste, impotente, è la perfetta metafora dello stato d’animo dell’Italia nel Novecento. Una Italia internamente combattuta tra diverse, agguerrite fazioni politiche, violenze e ferite. Non è un caso che questa sia la prima opera che si nota una volta entrati nella grande sala centrale del museo.
Insomma, percorrere il lungo corridoio del Guggenheim, questa volta si trasforma in un tuffo nella tana del Bianconiglio, tra psicosi, echi di morte, inquietudini politiche e forti critiche alla società. Vedere la produzione di Cattelan nella sua completezza forse lo mostra meno per il burlone e il provocatore a cui siamo abituati e più per un pensatore e narratore dei suoi tempi. Per Cattelan questa grandiosa retrospettiva, riassunta in un libro che porta lo stesso nome All, è stata l’occasione di salutare il suo pubblico e ritirarsi dalle scene.
Se sia vero o no non lo sappiamo. Ma sicuramente il lavoro di Maurizio Cattelan rappresenta lo specchio dei nostri ultimi venti anni. Riflettiamo su questo, e prendiamoci cura del futuro.
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